Violenza animale?

Violenza animale?

di Virginia De Giuseppe

Se come dicevamo la volta scorsa parlare di sostenibilità non era né bello né simpatico, vi lascio immaginare cosa sia parlare di animali in chiave dark. Per me è quanto di più disturbante, odioso, quasi horror, di cui potrei parlare, e penso lo stesso valga anche per chi sta per leggermi. Vi verrà spesso da interrompere e abbandonare la lettura, così come a me stessa viene spesso da interrompere e abbandonare la scrittura stessa.
Ma procediamo con ordine: parlare di animali di solito è reputato affare o per bambini o per adulti “sensibili”. A conferma che sia ritenuto roba da bambini, è sufficiente fare un giro in una qualunque libreria: sullo scaffale dedicato all’infanzia, vi sono tutti i libri sugli animali, del tipo “Atlante degli squali”, “Libro illustrato degli animali”, oppure di narrativa tipo “La pecora rosa”, “La mucca volante”, e così via. Sono titoli inventati ora in modo esemplificativo, ma abbastanza verosimili. Insomma roba da allegra fattoria, da divertente o comunque piacevole e fantasioso apprendimento sulla natura e sugli animali. Perfetto.

La questione inizia a farsi più complessa se invece riguarda gli adulti. Il fatto che ancora, come tematica, venga di solito associata alla “sensibilità” è in fondo grave, e potrebbe essere uno dei motivi alla base di quanto poi stiamo per dire successivamente: è luogo comune affermare “È una persona molto sensibile, ama gli animali, la natura ecc”. Scusate, ma davvero ha stufato questo modo di fare e di percepire. Non è sterile sensibilità ma una comprensione gelida di molte dinamiche del pianeta. Poi è chiaro che si aggiunge anche l’amore verso gli animali, ma ha stancato anche questa percezione dell’amore come “debolezza”, e questo vale sia per gli umani che per gli animali.
Comunque senza divagare: c’è qualcuno in lettura che abbia avuto modo di vedere come vivono gli animali negli allevamenti intensivi? Qualcuno che abbia visto lo sguardo che hanno mentre sono portati al macello e sentito le loro urla? Che dire delle malattie non curate, dei maltrattamenti, dei calci, dei pugni che ricevono?

Quindi, parlare di animali nel 2025 significa parlarne necessariamente in questi termini, tenendo conto che è in corso una specie di scissione sociale senza precedenti nella storia dell’umanità: da una parte l’aumento della popolazione mondiale ha aumentato gli orrori dei grandi numeri degli allevamenti intensivi, si pensi all’orribile condominio in Cina, 26 piani di allevamento automatizzato e crudele di maiali- mentre dall’altra parte è aumentata la sensibilità verso gli animali- a proposito, è tornata la parola sensibilità ma in questo caso si riferisce all’attenzione sociale, non al suo senso di tenerezza negativa quando viene usata come pseudo complimento ad una persona singola.
Non so se abbiamo reso l’idea: da una parte è aumentato il livello di attenzione su temi che ad esempio negli anni ‘80 non erano davvero neanche contemplati, dall’altra però è aumentata la richiesta di carne. Pensando alla società come al grande Leviatano di Hobbes, viene da immaginarlo come in una famosa scena di Homer Simpson, in cui lui si commuove e piange per l’animale mentre con forchetta e coltello sta per mangiarlo. E’ una società scissa e contraddittoria.

Ora la sto facendo semplice, perché la mia mente davvero tenta di evitare l’abisso di questo argomento. Il pensiero che in questo stesso istante mentre scrivo, milioni di animali stiano per essere macellati senza una carezza, senza un gesto di dolcezza, senza un briciolo di pietà, mentre loro terrorizzati non vogliono morire, è un pensiero che può rovinarmi la giornata, quindi chiaramente non ci sto. Va oltre il pensiero “naturale”, che in questo momento anche un leone sta sbranando una gazzella spaventata, un lupo sta agguantando un agnello, un pesce grande sta ingoiando un pesce piccolo, e così via. Questo è un pensiero fastidioso ma “accettabile” perché appunto naturale, è una morte tutto sommato veloce, dopo una vita passata in libertà. Ma non riesce in nessun modo a giustificare quel che fanno gli umani, spesso auto-assolvendosi anzi proprio con tale pensiero, che “tanto in natura funziona così”.
Fatto dagli esseri umani è completamente diverso: intanto non è davvero necessario poiché ci sono migliaia di altri cibi, e poi i metodi per ottenere lo stesso risultato sono pessimi proprio perché non previsti dalla natura, anzi è quanto di più artificiale e fasullo. Dopo aver fatto vivere loro una vita breve e infernale, guidata con le statistiche solo per la propria gola futura, vengono poi uccisi in date programmate, con la pistola, in una gabbia di ferro, con le catene per tenerli bloccati, appesi poi a testa in giù per sanguinare, a volte ancora vivi e agonizzanti per ore; i pulcini che non servono vengono prima fatti nascere e poi tritati appena nati; i vitelli, animali dolcissimi, vengono fatti nascere o per essere macellati giovani o addirittura per ingravidare le mucche per il latte e poi strappati via dalle madri, tra i pianti di entrambi. E mi fermo, gli esempi sarebbero tantissimi.

Ebbene tutto questo la mia mente non può nè giustificarlo come “naturale”, nè tollerarlo a livello umano. Ripeto è costretta ad interrompere all’istante tale flusso d’immagini. Serve una mente o perversa o anestetizzata per reggere, mentre una mente minimamente accesa e umana non regge davvero. Ancora una volta, non è questione di essere sensibili, anzi al contrario significa proprio essere “normali” di mente. Comunque avevo iniziato questo scritto con l’obiettivo di suggerire la lettura di ” Il maiale che cantava alla luna”, un libro che tratta il mondo emotivo degli animali reputati “minori” quali maiali, mucche, galline ecc, ma non lo farò perché forse non è necessario leggere un libro: basta guardare un solo istante un animale negli occhi per capire quanta emotività abbiano. Non solo cani e gatti o animali domestici, ma tutti, anche i topi, anche i tacchini, anche anzi soprattutto i maiali.

Comunque un solo articolo non può bastare per affrontare un tema così vasto, e non mi piace la piega scivolosamente appunto emotiva che ha preso questo post. Inoltre potrebbe apparire un po’ frammentato, perché in effetti è stato scritto, lasciato e poi ripreso qui e lì, e credo che un lettore attento lo noti. Facciamo così: io adesso vi saluto. Poi nel prossimo post trattiamo lo stesso argomento ma da un’altra angolazione più tecnica e lineare: faremo un’analisi sociologica sull’impatto degli allevamenti intensivi nel sistema economico mondiale.
Invece nel post ancora successivo analizzeremo ad una ad una, nel dettaglio, le classiche obiezioni dei carnivori a questo tema:

– partiremo dal “anche le verdure sono vive”;
– al “anche mentre cammini calpesti centinaia di formiche”;
– passando per il già citato “in natura funziona così”;
– slittando nel “a me nessuno dice cosa mangiare”;
– poi nell’inflazionato “l’essere umano è carnivoro” (faremo un confronto tra i veri carnivori che mangiano la carne cruda, con tutti gli organi, la pelliccia ecc, e noi);
– poi nel “la carne si mangia da sempre, anche i primitivi lo facevano (i primitivi erano anche cannibali, compivano tranquillamente stupri, ecc).

Insomma vedremo a uno a uno i classici alibi che i carnivori usano pur di giustificare la violenza per la semplice gola. Preparate le spade, perché quella tra carnivori e vegetariani, nel 2025, è una delle battaglie appunto meno civili che si possano affrontare. Sono poche le persone che riescono a parlarne con calma ed eleganza, di solito come argomento scatena una rabbia appunto animalesca perché vengono toccati gli istinti più profondi. A presto.

Virginia De Giuseppe

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