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Riflessioni di gennaio tra memoria e liquidità
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Riflessioni di gennaio tra memoria e liquidità
di Ornella Ricchiuto –
De Pasca Bbifania tutte le feste pijane via.
Rispunne Santu Pati: “E mmie a cci me llassati?”
E rispunne a Cannilora, “Nci su jeu e lu Biasi ‘ncora”.
Nella società contadina uno dei processi di conservazione e trasmissione della memoria è svolto dai repertori della tradizione orale cantata e non cantata come proverbi, detti, filastrocche, indovinelli, cunti, ecc.; secondo i versi dialettali citati poc’anzi il mese di gennaio parrebbe iniziare con la fine delle feste natalizie, tuttavia essi rammentano l’avvicinarsi di ulteriori festività come quella di Sant’Ippazio nel Comune di Tiggiano e a seguire quella di San Biagio a Corsano e la Candelora in quel dì Specchia. Ancora oggi queste feste, pur non facendo più riferimento a un reale calendario agro-pastorale, si configurano come reiterazioni rituali che hanno la funzione di riaffermare e soprattutto di riattualizzare i saperi prodotti e condivisi dalle comunità nel corso del tempo.
Soffermarsi su queste tradizioni, tra sacro e profano, è da intendersi in senso costruttivista prendendo le distanze da una visione essenzialista o come qualcosa di autentico; le rovine della memoria (tangibili e intangibili) se prive di contestualizzazione socio-culturale e di conoscenza critica, in una “società liquida” – così definita dal sociologo Zygmunt Bauman – divengono monumenti dell’oblio oppure oggetti di mero consumo e di spettacolarizzazione, giungendo ad una liquefazione della memoria stessa che, nella migliore delle ipotesi, tende ad essere omogenea.
Non bisogna pensare ad un’imbalsamazione delle pratiche rituali bensì ricercare in esse l’inestimabile valore umano che popola i luoghi di confine perennemente a rischio, soprattutto in un contesto odierno, sia a livello locale che globale, in cui le diversità vengono offuscate o addirittura seppellite con la possibilità di smarrire l’uomo e l’umano.
Occorre costruire relazioni e luoghi di incontro, prendersi cura e dar valore alle memorie che, come l’acqua, nutrono l’umanità. L’uomo postmoderno, riprendendo un pensiero dell’etnologo Davide Porporato, è spaesato da una complessità vorticosa, avverte sempre più l’esigenza, per un verso, di vivere un’esistenza che cerca di raccordarsi maggiormente con la dimensione locale dell’ambiente, dall’altro, ricerca anche i gesti, le parole, le ritualità, le memorie, le tradizioni, che tramandano forme primitive di espressione.
Ernesto de Martino, padre fondatore dell’antropologia italiana, già suggeriva nel 1959 l’importanza, alla base della vita culturale, di ricordare una «patria» attraverso la concretezza dell’esperienza rapportandosi al mondo, nonché di possedere un villaggio vivente nella memoria a cui tornare sempre perché coloro che non hanno radici si avviano alla morte della passione e dell’umano. Finché la comunità, aggiunge Rocco Brienza, non si fa «patria» di tutti, finché non si esauriranno culture e popoli egemoni e, di contro, culture e popoli subalterni, non ci può essere un reale e compiuto umanesimo.
Ritornando al mese di gennaio nel profondo sud Salento, lo sguardo antropologico si posa sulla comunità di Tiggiano il cui cuore è rappresentato dalla festa e fiera patronale di Sant’Ippazio, un santo orientale, conosciuto come Santu Pati, legato all’influenza e frequentazione del mondo religioso greco. Ancora oggi la fiera che si tiene la mattina del 19 è vivissima, partecipata e occasione di promozione e vendita di due frutti simbolici: le carote locali (pestanache), e le giuggiole (scíscele). Si tratta di due elementi augurali che si riferiscono alla salute e al benessere procreativo che, a loro volta, si intrecciano alla specialità di Sant’Ippazio quale guaritore dell’ernia.
Altri elementi immancabili sono le funzioni religiose, la processione per le vie del paese e le pratiche dell’asta del santo e dello stendardo.
La ricerca etnografica e, più in generale l’antropologia, aiuta a comprendere e interpretare questa varietà dell’esistenza, una ricchezza che non deve essere perduta; diversità culturale, creatività umana, scambi e intesa tra le persone sono rimarcate dalla Convenzione per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale dell’UNESCO che invita le comunità a farsi protagoniste nell’identificare, documentare, ricercare, proteggere, valorizzare e trasmettere il proprio patrimonio acquisendo, come scrivere l’antropologo Eugenio Imbriani, “consapevolezza della necessità di scoprire, tutelare e conservare le pratiche, i saperi e le cose che per loro sono densi di significato. (…) se non riusciamo a declinare saggiamente l’idea di patrimonio, non saremo in grado di guardare al futuro e nemmeno di leggere il presente.”.
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