A qualcuno piace caldo

A qualcuno piace caldo

di Alfredo Sanapo –

Non è la prima volta in cui nel bacino del Mediterraneo si verifica uno scenario di riscaldamento globale. È già accaduto nell’epoca appena precedente all’ultima glaciazione (135.000-115.000 anni fa). Anche se l’entità dell’aumento di temperatura di quel periodo è stata minore rispetto a quella attuale e di quella prevista nel prossimo futuro, è ragionevole pensare che, studiando la variazione dei fossili marini dell’area mediterranea di allora, sia possibile prevedere la variazione della distribuzione delle specie, peraltro già in atto.

Con questo approccio, l’estate scorsa è stata effettuata una ricerca scientifica pubblicata dalla rivista PNAS e realizzata dall’Università di Firenze, dal CNR e dall’Università di Vienna. Gli scienziati coinvolti, sulla base dello studio dei fossili, hanno creato un modello di distribuzione di molluschi tropicali atlantici che vivevano durante quel periodo caldo. Prima della glaciazione, il riscaldamento climatico portò all’invasione del Mediterraneo da parte di specie provenienti dall’Atlantico via Gibilterra, all’epoca l’unica possibilità di entrata dall’oceano.
Queste specie – dette “ospiti caldi” – sono rimaste nel nostro bacino finché la glaciazione non le ha obbligate a tornare a latitudini tropicali. Gli studiosi hanno incrociato i dati sulla distribuzione geografica degli “ospiti caldi” durante l’ultima fase interglaciale con quella attuale, al fine di ottenere un modello di previsione della loro composizione in specie dal recente passato sino ai prossimi decenni. I risultati mostrano che un riscaldamento di intensità anche parziale rispetto a quello corrente permetterà alle specie tropicali di rientrare in Mediterraneo. A ciò si aggiunga che, oltre a quelle di provenienza atlantica, è già in corso un’invasione di specie tropicali originarie del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano via Suez. Gli autori dello studio prevedono che tali invasioni trasformeranno in modo irreversibile la biodiversità del Mediterraneo.

La cosa non è di poco conto perché il cambiamento, che riconfigurerà drasticamente gli ecosistemi, non riguarderà solo ciò che si osserva durante le immersioni, ma anche le nostre abitudini alimentari e tutti gli aspetti legati al mare. Lo studio ha ipotizzato che, se la temperatura del Mare Nostrum salisse anche oltre il limite di 2ºC stabilito dagli accordi di
Parigi nel 2016, potrebbe verificarsi una nuova invasione di specie tropicali dagli esiti ancora
sconosciuti la quale metterebbe a rischio il 30% delle specie locali (fonte WWF). La sua tropicalizzazione, infatti, può impattare a tal punto su fauna e flora locali da mettere le “nuove” specie in competizione con quelle già presenti alterando gli equilibri degli habitat marini. Ciò potrebbe aver luogo tra il 2050 e il 2100, quando il clima e la salinità renderanno il Mediterraneo compatibile – come 120 mila anni fa -con una distribuzione di specie di tipo simil-tropicale.

Le specie animali autoctone più colpite dal mutamento climatico, sono le tartarughe marine, in particolare Caretta caretta, i delfini, i tonni, gli squali e le razze, specie tutte altamente sensibili alle fluttuazioni del clima. Tuttavia, il fatto più grave è la distruzione delle colonie di gorgonie a causa di eventi atmosferici estremi: si tratta di un corallo che ha un ruolo fondamentale in molti ecosistemi mediterranei. Non meno drammatica è la diminuzione del mollusco Pinna nobilis, detta “nacchera”, un grande bivalve endemico in grado di fondare comunità simbiontiche con crostacei decapodi (gamberetti, granchietti e paguri), alghe, briozoi, ascidie e spugne.

Tra i vegetali sono minacciate, se non estinte in alcune aree, le praterie di posidonia, una pianta acquatica che immagazzina oltre il 25% delle emissioni di CO2 dei Paesi mediterranei e libera nell’ambiente 20 lt di O2 al giorno per ogni m². Ciò avrebbe gravi ripercussioni sulla biodiversità, visto che sono fonte di cibo per specie erbivore e riparo per piccoli animaletti e costituiscono ecosistemi marini tanto unici quanto fragili.

La progressiva tropicalizzazione del Mediterraneo ha comportato l’ingresso di specie “aliene” che sono aumentate significativamente, creando nuovi ecosistemi. Tra le specie rinvenibili dalle nostre parti ricordiamo la caravella portoghese (Physalia physalis), un’aggregazione di polipi galleggianti in superficie grazie ad una sacca piena di gas di forma appiattita: originaria dell’Atlantico, è studiata perché i suoi lunghi tentacoli hanno organelli urticanti che possono causare reazioni molto gravi nell’uomo. Menzione merita anche il pesce scorpione (Pterois volitans), una specie tropicale originaria del Mar Rosso, pericolosa per l’uomo in quanto dotata di spine velenose che provocano punture dolorose e possono portare alla morte chi ha problemi di tipo cardiocircolatorio. Il suo effetto negativo sugli ecosistemi è dovuto alla voracità: mangia una gran varietà di prede (pesci piccoli, avannotti, crostacei) con effetti devastanti sulla fauna locale e gravi ripercussioni per la pesca in quanto potrebbe ridurre gli stock ittici. Trista fama in Adriatico, invece, sta assumendo il granchio blu (Callinectes sapidus), una specie alloctona invasiva causa di ingenti danni economici (preda mitili e vongole, rovina le reti da pesca) ed ambientali (danneggia le popolazioni autoctone di granchi). Di recente, ha avuto risonanza sui media locali il vermocane (Hermodice carunculata) un verme grigio-rosso in media lungo 15 cm dotato di setole urticanti che può infliggere dolorose sensazioni di bruciore nell’area di contatto: originario dell’Atlantico, si è adattato a vivere nel Mediterraneo centro-orientale, comprese le coste del Salento. Tra le specie vegetali alloctone sono giunte fino a noi, introdotte nel Mediterraneo attraverso le acque di sentina delle navi che spesso vengono scaricate in mare senza precauzioni, due macroalghe invasive: l’Asparagopsis taxiformis e la Caulerpa Taxifolia. Esse stanno soppiantando, per il meccanismo della “competizione interspecifica”, la flora locale alla base dell’alimentazione delle specie marine erbivore e potrebbero danneggiare la fauna locale in quanto producono tossine e grovigli tra i quali i pesci potrebbero impigliarsi.

Insomma, è in programma uno stravolgimento imponente e irreversibile col quale dovremo a breve fare i conti sia per capire se siamo in pericolo quando facciamo un bagno a mare o quali specie ittiche possiamo mangiare in sicurezza, sia per mettere alla prova le nostre capacità di adattamento come esseri umani. Intanto, proprio nelle nostre spiagge c’è taluna gente che, sospesa tra esibizione di sterile impavidità e una felice incoscienza, ancora si compiace di tuffarsi in acqua a febbraio.

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